Il SIGNORE ti benedica e ti protegga!
Il SIGNORE faccia risplendere il suo volto su di te e ti sia propizio!
Il SIGNORE rivolga verso di te il suo volto e ti dia la pace! (Numeri 6:24-26)

Chiesa Evangelica Valdese

UNIONE DELLE CHIESE METODISTE E VALDESI

Rimini, Romagna e Pesaro-Urbino

Ezechiele 18:1-4/21-24/30-32 - predicatrice Adelfia Sessa (MEMBRO DI CHIESA)

1 La parola del SIGNORE mi fu rivolta in questi termini:
 2 «Perché dite nel paese d'Israele questo proverbio: "I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati?"
 3 Com'è vero che io vivo, dice DIO, il Signore, non avrete più occasione di dire questo proverbio in Israele.
 4 Ecco, tutte le vite sono mie; è mia tanto la vita del padre quanto quella del figlio; chi pecca morirà.
(...)
 21 Se l'empio si allontana da tutti i peccati che commetteva, se osserva tutte le mie leggi e pratica l'equità e la giustizia, egli certamente vivrà, non morirà.
 22 Nessuna delle trasgressioni che ha commesse sarà più ricordata contro di lui; per la giustizia che pratica, egli vivrà.
 23 Io provo forse piacere se l'empio muore? dice DIO, il Signore. Non ne provo piuttosto quando egli si converte dalle sue vie e vive?
 24 Se il giusto si allontana dalla sua giustizia e commette l'iniquità e imita tutte le abominazioni che l'empio fa, vivrà egli? Nessuno dei suoi atti di giustizia sarà ricordato, perché si è abbandonato all'iniquità e al peccato; per tutto questo morirà.
 (...)
 30 Perciò, io vi giudicherò ciascuno secondo le sue vie, casa d'Israele, dice DIO, il Signore. Tornate, convertitevi da tutte le vostre trasgressioni e non avrete più occasione di caduta nell'iniquità!
 31 Gettate via da voi tutte le vostre trasgressioni per le quali avete peccato; fatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo; perché dovreste morire, casa d'Israele?
 32 Io infatti non provo nessun piacere per la morte di colui che muore, dice DIO, il Signore.

 

Care sorelle e cari fratelli nel Signore,

Ezechiele è arrabbiato, molto arrabbiato, e parla a nome di un Dio anch’egli molto in collera con il suo popolo, e si sente. Il profeta scrive da Babilonia, terra di deportazione per il popolo di Giuda, e lancia la sua invettiva contro Gerusalemme e i suoi costumi che hanno allontanato il popolo dalla via tracciata dal Signore e l’hanno portato alla guerra, alla distruzione, alla schiavitù.

Si ripete ancora una volta il ciclo, il leit motiv, che inizia dall’Esodo: il Signore dà al suo popolo le istruzioni e i precetti perché possa vivere felice e in pace e godere dei doni che ha ricevuto, il popolo si è ribellato a Dio e non li ha seguiti, ne sono derivate catastrofi e desolazione, il Signore ha compassione per il popolo che grida a Lui e si riconcilia.

 Dunque è successo ancora una volta. Israele si è messo nei guai, è in esilio, e il profeta stesso parla dall’esilio e lancia la sua accusa contro il popolo facendogli l’elenco di tutte le sue abominazioni e i suoi misfatti. Qui si inserisce il capitolo 18, del quale analizzeremo alcuni versetti. Subito il profeta sgombra il campo da ogni equivoco. «Perché dite nel paese d'Israele questo proverbio: "I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati"? 3 Com'è vero che io vivo», dice il Signore, DIO, «non avrete più occasione di dire questo proverbio in Israele. » Toglietevi dalla testa il vecchio proverbio secondo cui è per le colpe commesse dai vostri padri che adesso siete nei guai. E’ questa una novità assoluta perché in Esodo 20,5-6 e in Deut. 7,9-10 troviamo delle affermazioni che vanno nella direzione del proverbio (la colpa ricade fino alla terza e alla quarta generazione e la misericordia fino alla millesima generazione)

 Evidentemente Ezechiele si trova di fronte a una massa di persone affrante, in esilio che si interrogano sulla loro condizione e cercano la causa della loro sventura.

Ho immaginato che si siano posti ed abbiano posto a loro volta ad Ezechiele alcune domande, del tipo: Per quali peccati l'esilio è la punizione?  Di chi è la colpa delle nostre disgrazie? E, come è loro costume, trovano la risposta nell’antico proverbio secondo cui la responsabilità della situazione presente è da addebitare a coloro che li hanno preceduti. Questo serve a farli sentire sicuramente meglio, più sollevati, ma anche a mantenerli nell’immobilità. “ Se non siamo responsabili, se non siamo stati noi a metterci in questa situazione, non possiamo neanche tirarcene fuori”.  Ezechiele dice , «non avrete più occasione di dire questo proverbio in Israele» perché è per i loro peccati, quelli di quella stessa generazione e non per quelli dei loro padri che stanno soffrendo.

 Ezechiele li inchioda alle loro responsabilità: «4 (dice il Signore) Ecco, tutte le vite sono mie; è mia tanto la vita del padre quanto quella del figlio; chi pecca morirà. » Non pensate di cavarvi dalle vostre responsabilità, dice il profeta,  il Signore vi conosce uno ad uno, conosce la vostra storia e quella dei vostri padri e sa distinguere l’una dall’altra.  Le colpe sono personali e non si ripercuotono di generazione in generazione. Le colpe dei padri sono dei padri, così come le colpe dei figli sono dei figli. A colui che ha sbagliato verrà chiesto conto dei propri errori, non ad altri.

(Certo questo pone più di una domanda sulla fondatezza di quello che la Chiesa cattolica chiama “peccato originale”. Ma non è di questo che vogliamo parlare oggi.)

Ma allora se la responsabilità è personale, se è di quella generazione che si trova lì, in esilio, a Babilonia, viene subito un’altra domanda: come può il nostro piccolo pentimento evitare l’ira di Dio? Come potrò io singolo, misero individuo modificare la situazione di condanna che grava su un intero popolo?

Ezechiele risponde ai vv. 21-24:

21 Se l'empio si allontana da tutti i peccati che commetteva, se osserva tutte le mie leggi e pratica l'equità e la giustizia, egli certamente vivrà, non morirà. 22 Nessuna delle trasgressioni che ha commesse sarà più ricordata contro di lui; per la giustizia che pratica, egli vivrà. 23 Io provo forse piacere se l'empio muore?», dice il Signore, DIO. «Non ne provo piuttosto quando egli si converte dalle sue vie e vive? 24 Se il giusto si allontana dalla sua giustizia e commette l'iniquità e imita tutte le abominazioni che l'empio fa, vivrà egli? Nessuno dei suoi atti di giustizia sarà ricordato, perché si è abbandonato all'iniquità e al peccato; per tutto questo morirà. »

Il pentimento e la conversione, il ritorno alla via indicata dal Signore,  sono dunque la chiave per uscire dall’incubo della schiavitù e della sofferenza. La conversione annulla ogni colpa , ogni errore precedente e dà una nuova possibilità di vita. Perché è questo che il Signore desidera anche per colui che lo ha rinnegato, per colui che ha sostituito le proprie leggi a quelle di Dio, per colui che si è sostituito a Dio: l’empio appunto. Per lui il Signore desidera che si converta e viva.

Ma come è disposto ad usare misericordia all’empio che si converte e a dimenticare le sue trasgressioni, è altrettanto pronto a ricordare al giusto, che abbandona la pratica della giustizia, le sue trasgressioni. Egli morrà perché ha assunto il modello di comportamento di quelli che sono spiritualmente morti: ha imitato le abominazioni dell’empio. Di colui che vive come un morto, perché non vive la vita piena, ricca, felice che solo Dio può dare. Infatti tanto la morte quanto la vita non vanno qui intese come eventi puramente fisici (anche ), ma come pienezza o mancanza di vita, di senso  che si ha quando ci si trova più o meno vicini a Dio, quando ci si sente più o meno in comunione con lui. La vita è vivere vicini a Dio, la morte è starne lontani.

Ed ecco arrivare la terza domanda: ma sarà poi giusto questo giudizio di Dio? Perché dovrei essere io, proprio io ( noi proprio noi della nostra generazione) responsabile del disastro di un’intera nazione? Alla fine se abbiamo perso la guerra con gli Assiri la colpa sarà dei capi militari. Se ci siamo allontanati dall’osservanza della Legge di Dio, la colpa sarà dei sacerdoti che non ce l’hanno spiegata bene o che non ci hanno richiamati abbastanza. Se tutto il popolo è colpevole perché devo pagare proprio io? Se lo fanno tutti che male c’è? In fondo cosa ho fatto se non seguire l’esempio degli altri(dei più grandi, dei più anziani, dei più importanti o famosi, dei più …. numerosi)?

A queste domande risponde Ezechiele ai vv 30-32: « 30 Perciò, io vi giudicherò ciascuno secondo le sue vie, casa d'Israele», dice il Signore, DIO. «Tornate, convertitevi da tutte le vostre trasgressioni e non avrete più occasione di caduta nell'iniquità! 31 Gettate via da voi tutte le vostre trasgressioni per le quali avete peccato; fatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo; perché dovreste morire, casa d'Israele? 32 Io infatti non provo nessun piacere per la morte di colui che muore», dice il Signore, DIO. «Convertitevi dunque, e vivete!»

Il profeta non nega il carattere sociale del peccato e delle sue conseguenze, ma afferma che a ciascuno è data comunque la possibilità di cambiare rotta, di desistere dal peccato commesso dagli altri o da lui stesso. Se lo fa, se cambia, se si converte, ritorna alla relazione benefica, vitale con Dio, ritorna sotto la Sua misericordia dalla quale si era allontanato a causa del suo peccato.  Ezechiele insomma cerca di fare capire al suo popolo che pur nella situazione drammatica in cui si trova c’è speranza, c’è possibilità di riscatto a condizione che la smetta di attribuire la colpa dei suoi mali ai propri padri o al contrario che speri di salvarsi per i loro meriti, a condizione che si assuma le proprie responsabilità, che guardi al proprio comportamento, che rifletta sui propri errori, si penta e si converta a Dio. Perché è questo che Dio vuole, è questo che sta aspettando dall’inizio della storia con il suo popolo, per questo continua a stargli vicino con la sollecitudine di un padre e di una madre, perché si faccia un cuore nuovo e uno spirito nuovo. Perché possa rifarsi una vita. Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva.

La fede nel Dio della vita comporta però l’osservanza dei comandamenti riguardanti la pratica della giustizia e della solidarietà con i poveri. Dalla fedeltà a Dio e alla sua giustizia deriva per il popolo l’unica possibilità di una vita di pace e benedizioni.

Può sembrare scontata questa lettura a noi che abbiamo letto la parabola del figliol prodigo. Ma pensate come può essere risuonata alle orecchie dei contemporanei di Ezechiele. L’idea che l’empio pentito potesse trovare la misericordia di Dio era impensabile per loro. Il peccatore aveva il destino segnato, era condannato, doveva perire, punto. Questa era la loro idea di giustizia, un’idea di  giustizia retributiva. Alla colpa deve corrispondere il giusto castigo e la condanna  essere definitiva, senza ritorno. Questa è la giustizia giusta!

La giustizia di cui parla Ezechiele è invece una giustizia di tipo familiare, la giustizia di una madre, di un  padre che non provano piacere che il proprio figlio perisca ma che vogliono vedere il proprio figlio risollevarsi dall’abisso, ritornare alla vita, essere felice. È la stessa giustizia del padre della parabola che corre incontro al figlio pentito a braccia aperte e lo solleva da terra dove si è prostrato. Penso che Gesù non potesse scegliere immagine più bella e più efficace per dare il senso dell’amore di Dio, di questo padre che corre incontro a braccia aperte e solleva.

Noi viviamo in una società che ha un concetto strano di giustizia. Si passa da posizioni giustizialiste e forcaiole di fronte ad eventi a forte impatto emotivo, alla totale, o quasi, indifferenza di fronte ad episodi di ingiustizia e di malaffare. Secondo una recente ricerca, noi italiani abbiamo una percezione molto ridotta del livello di disonestà e di corruzione della nostra società. Ci siamo assuefatti, non ci indigniamo più o non abbastanza per quello che succede.

Come mai? Siamo diventati tutti più materni/paterni e inclini al perdono? Nooooo. O siamo semplicemente diventati più indifferenti e meno responsabili? Applichiamo a noi stessi la stessa giustizia del popolo d’Israele: non è colpa nostra ma di qualcun altro, la giustizia “giusta”, il rigore si applica sempre agli altri, mai a noi.

Ma noi sappiamo che il proverbio citato da Ezechiele non è più valido e che ciascuno è chiamato ad assumersi le proprie responsabilità e se è vero che le colpe dei padri non devono ricadere sui figli è pur vero che la nostra generazione ha la responsabilità del mondo che consegna alle future generazioni. Certo i nostri figli dovranno assumersi la responsabilità di riparare ai danni che noi abbiamo provocato, ma quanto gravoso stiamo rendendo loro il compito! La politica dissennata che la nostra generazione ha fatto o lasciato fare ha causato disoccupazione e disperazione per i nostri figli e figlie.

Per non parlare della politica internazionale. È di questa settimana la notizia della morte di 4 ragazzi  (israeliani? Palestinesi? che importanza credete che abbia per le loro madri? 4 figli, 4 adolescenti) vittime innocenti di una guerra che non hanno iniziato e non hanno voluto loro.

In questo caso, certo, i figli hanno pagato per le colpe dei padri, ma nessuno può pensare che questa sia giustizia, nessuno, né cristiano, né ebreo, né mussulmano, può pensare che questo possa essere voluto da Dio. Anzi la cosa più terribile di questo terribile episodio è proprio che degli innocenti abbiano pagato al posto dei colpevoli, che le colpe dei padri siano ricadute sui figli contro ogni principio di giustizia umana e divina. Anzi, non esiste alcun criterio più chiaro di questo per distinguere la giustizia dalla mera vendetta. Giustizia è che il colpevole paghi il giusto prezzo per ciò che lui stesso ha fatto; vendetta è quando si vuol far pagare il prezzo della propria sofferenza ad un altro che non ne è responsabile, per il piacere di vederlo soffrire, di vederlo morire.

Ma Dio non trae piacere dalla morte, è Dio dei viventi, non si vendica ma fa giustizia, e la giustizia non è mai lontana dal perdono. Si potrebbe anzi dire che la punizione ricade solo su chi, rifiutando di convertirsi, ha rifiutato il perdono. In fondo, nello scegliere di restare nel male il colpevole si punisce da sé, sceglie la morte e non la vita.

Responsabilità e conversione ci indica dunque Ezechiele. Responsabilità e conversione ha sperimentato il figliol prodigo. Ha condannato il suo comportamento precedente, è tornato sui suoi passi, ha percorso a ritroso la distanza che lo teneva lontano dal padre e si è ricongiunto a lui. Perché ha capito che solo vicino a lui c’è salvezza.

Ma si è convertito, ha cambiato vita. Su questo punto, dobbiamo mettere l’accento come credenti: la necessità di assumerci la responsabilità  delle nostre scelte, dei nostri errori, e correggerli. Cominciare da noi stessi, dal nostro piccolo mondo quotidiano, cominciare a fare ciò che è possibile può a volte permettere di ottenere quello che sembrava impossibile. Cambiare si può. Basta fare un passo alla volta. Sapendo che il Signore conosce i nostri limiti  e le nostre intenzioni. Ma noi sappiamo che le intenzioni devono tradursi in azioni altrimenti non servono a nulla.

Che il Signore, Dio della misericordia ci aiuti a vivere la nostra fede nella ricerca della pace,  nella pratica della giustizia e della solidarietà con i poveri. Amen

 

 Sermone di domenica 6 luglio 2014,  predicatrice locale Adelfia Sessa


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